Seppellire i morti, pregare Dio per i vivi e per i morti

Set 8, 2016 | Giornalino "In Cammino", Giubileo Straordinario della Misericordia, Pagine Storiche, Riflessioni

Prosegue il cammino di approfondimento sul tema della Misericordia oggetto dell’Anno Santo proclamato da papa Francesco.

Non è del tutto azzardato collegare il tema del “seppellire i morti”, a quello del “pregare Dio per i vivi e per i morti”. Costituisce come un transitare” dalle opere di Misericordia “Corporali” a quelle “Spirituali.

Ho sempre ipotizzato un ministero di accompagnamento nella malattia terminale e nella morte. Dico a ragion veduta “ministero”, perché – e mi riferisco all’atto ultimo, quello del seppellimento – risulta tra i primi ad essere attestato come tale. A scavare nel tufo e ad accogliere i corpi dei martiri o dei cristiani defunti all’inizio dell’era cristiana non erano gli impiegati comunali, ma cristiani che rendevano alla comunità questo servizio e come tali erano inscritti negli ordines, negli elenchi che declinavano le ministerialità. Era un ministero “minore”, ma pur sempre riconosciuto.

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E, in verità, seppellire i morti è preoccupazione costante, istanza originaria e compartita di quella pietas che anche al di fuori del cristianesimo rende solidale un gruppo umano con quelli che la morte pone fuori dalla sua vicenda immediata. Seppellirli ritualmente, magari accompagnandoli, nella variazione delle culture, riproducendone l’habitat – casa, suppellettili, ornamenti, provviste – esprime nel profondo il farsi l’un l’altro solidale presso l’inevitabile soglia della morte.

E allorché le leggi ingiuste neghino o conculchino la pietas, emerge anche a rischio della vita il dovere di dar sepoltura ai morti. Biblicamente è gesto coerente e conclusivo della pietà verso chi soffre o verso chi è indigente. In Tb 1,18b-21, ad esempio, la scelta di seppellire i corpi dei compagni di fede disinvoltamente buttati dietro le mura è consequenziale, appunto, all’elargizione dell’elemosina, al dare il pane agli affamati e al vestire gli ignudi. Tobia è costretto a fuggire e a subire la confisca dei beni a ragione di questo suo comportamento. Ecco, siamo di nuovo al fulcro del nostro discorso: la Misericordia, ossia il miserum cor che fa la com-passione. Ed è appunto questa la connessione, il legame intrinseco nella distinzione tra opere di Misericordia Corporali e opere di Misericordia Spirituali. Ad essere obiettivi, sono tutte Spirituali le opere di Misericordia. La distinzione nasce dal referente, che nel primo caso è il corpo, nel secondo è lo spirito. E il tema della morte è quanto mai efficace, perché nel “seppellire i morti” guardiamo questi ultimi nella prospettiva di un corpo che sarà spiritualizzato.

Si gioca tutto, insomma, nel rimando: corpo-spirito-corpo. Il corpo che noi siamo è già abitato dallo Spirito. Se dunque il “seppellire i morti” mette soprattutto in evidenza il corpo nella sua indigente debolezza, nella nudità a cui lo lascia la morte, come esprimono bene i riti cristiani di sepoltura, lo stesso corpo morto resta indissolubilmente legato al corpo vivo che è stato segnato, unto, santificato.

La continuità di cui è garanzia lo Spirito ci rende solidali nella preghiera, nell’intercessione, nella circolazione affettuosa che nessuno disimpegna dal far memoria di quanti si sono addormentati nel Signore. Sanno i cristiani d’oggi farsi tramite esistenziale di tutto ciò? Sanno attestare una Misericordia che lega il corpo di morte al corpo di risurrezione? Sanno realizzare azioni concrete di ministerliatà in contrapposizione alla cosificazione del corpo vivo come del corpo morto?

Direi di sì, malgrado lo sconcerto che ci prende quando ci raggiungono notizie orripilanti come il racket delle pompe funebri,il pizzo sulle sepolture, il degrado a cui vengono abbandonati gli stessi cimiteri, ormai luoghi sconnessi e disastrati, poco coerenti con il significato del loro nome: koimeterion, luogo dei dormienti (in Cristo).

Qualche anno fa ho seguito in TV una lunga intervista a Vincenzo Lombardo, il custode del cimitero di Lampedusa. Parlava da cristiano, e cristiano sino al midollo era ciò che aveva fatto. In quell’isola, tristemente nota per essere stata l’approdo di disperati vivi e di ormai non più disperati morti, si era fatto carico di dare sepoltura ai morti restituitiAndrea_Mantegna-Il-Cristo-morto dal mare. Ascoltarlo era davvero una grande lezione di fede e di umanità. Per loro, sicuramente musulmani, aveva creato un angolo nel quale potessero riposare tranquilli, nel rispetto della loro dignità, contrassegnandone le tombe con la data del ritrovamento. Non li aveva disseminati a caso, né aveva per loro costituito un ghetto. Piuttosto li aveva raccolti a partire dal destino comune. La sua pietà in qualche modo aveva strappato all’anonimato questi “fratelli” di cui aveva fatto scempio il mare, ma che ancor prima erano stati venduti e usati da altri esseri umani, insensibili alla loro sorte, in vita e in morte.

Ebbene, quest’uomo ormai in pensione va ancora a rendere omaggio ogni giorno a “suoi” morti sconosciuti (da 13 che erano all’epoca dell’intervista sono diventati 82). Li visita e ne cura le tombe. Tutti ha sepolto sotto l’emblema della croce, e non per offendere la loro fede, quanto piuttosto per affermare che c’è per tutti un unico Dio “crocifisso”.

Questa cura struggente, inscritta nel profondo del suo DNA culturalmente cristiano, ha reso in me ancora più struggente il desiderio che i fedeli laici si riapproprino di compiti che sono costitutivamente ministeriali. Non si può gestire la morte secondo le leggi del mercato. Il corpo d’ogni essere umano, anche se morto, non può essere né comprato né venduto, né offeso né abbandonato. Pregare Dio per i vivi e per i morti è anche questo: chiedere che prima o poi si interrompa la catena di mercificazione della vita, che per suo peso non risparmia neanche la morte. La vita invece dovrebbe collocarsi nella costitutiva dimensione della gratuità e del dono.

Le riflessioni che troverete in questo riquadro per tutto l’Anno Santo della Misericordia prendono spunto da: Cettina Militello, Le opere di misericordia, San Paolo 2012.


Le sette opere di Misericordia Spirituale:

  1. Consigliare i dubbiosi;
  2. Insegnare agli ignoranti;
  3. Ammonire i peccatori;
  4. Consolare gli afflitti;
  5. Perdonare le offese;
  6. Sopportare pazientemente le persone moleste;
  7. Pregare Dio per i vivi e per i morti.

Le sette opere di Misericordia Materiale:

  1. Dar da mangiare agli affamati;
  2. Dar da bere agli assetati;
  3. Vestire gli ignudi;
  4. Ospitare i pellegrini;
  5. Curare gli infermi;
  6. Visitare i carcerati;
  7. Seppellire i morti.

L’articolo è stato tratto dal numero di Giugno 2016 del giornalino parrocchiale “In Cammino” scaricabile a questo link.

I Prossimi appuntamenti

  • giovedì 24 Aprile

    18:00 – 18:45
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  • venerdì 25 Aprile

    Festa Liberazione
  • venerdì 25 Aprile

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  • sabato 26 Aprile

    18:00 – 18:45
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  • domenica 27 Aprile

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    Emanuele Bucchi ema.bucchi@gmail.com
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  • martedì 29 Aprile

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